La boxe è come la matematica

“La boxe è come la matematica, dove due più due fa quattro: se dici tre vai avanti lo stesso, ma a un certo punto l’errore viene fuori”.
Roberto Fazi

Su un vecchio numero di Boxe Ring, che mi è capito in mano per caso, ho trovato questa frase. Era nell’editoriale del direttore, Roberto Fazi. Era il 1987 e noi guardavamo ancora al mondo dell’informazione con occhi ingenui: attendevamo l’uscita dei giornali e pendevamo dalle labbra dei giornalisti; entrambi possedevano qualcosa che oggi fatichiamo a riconoscere loro: l’autorevolezza.
Fazi scriveva del sorprendente knock-out al terzo round inflitto a Patrizio Oliva da un picchiatore argentino, Juan Martín Coggi, e io mi sono goduto la lettura dell’editoriale del direttore proprio come facevo allora, con quel misto di voracità e devozione che, adolescente, riservavo ai giornali che parlavano delle mie passioni. Ammiravo questi personaggi che erano i grandi giornalisti, come Fazi appunto, come Marcello Sabbatini nell’automobilismo, come Ettore Mo sul Corriere della Sera; le cui opinioni, in un mondo più riflessivo di quello di oggi, meno distratto da tante sollecitazioni mediatiche, contavano, facevano riflettere e discutere.
Questo ho pensato sui giornali, dopo avere letto le parole di Fazi e sfogliato il vecchio numero di Boxe Ring. E poi ho pensato a quella frase, una di quelle frasi che, nella loro semplicità, sembrano essere banali e invece sono figlie di una lunga esperienza e come a lungo meditate; solo chi conosceva a fondo la boxe poteva scrivere una frase così piena di significato e di verità.
La verità sta alla base della boxe. Anzi, si può dire che la boxe sia il teatro della verità. È per questo che ha attirato sempre gli scrittori: perché hanno modo di confrontarsi con un mondo che non ammette finzioni né scorciatoie, di misurarsi su un terreno sul quale bluffare costa caro.
Il giorno che ha affrontato Oliva, Coggi aveva da poco archiviato la sua prima sconfitta e ottenuto due pareggi, l’ultimo dei quali con un mestierante suo connazionale; Oliva invece era il campione del mondo, imbattuto in 48 match – era a una sola lunghezza dal record di Rocky Marciano, superato da Floyd Mayweather Jr soltanto l’anno scorso. Dopo, Patrizio è cresciuto di peso ed è tornato campione d’Europa, nei welter; Coggi ha dominato i superleggeri per dieci anni, difendendo a lungo il titolo mondiale, perdendolo e tornando campione per tre volte. Ma quando Fazi, che la sapeva lunga, scriveva il suo editoriale, la vittoria di Coggi su Oliva sembrava un fulmine a ciel sereno, un incidente di percorso e niente più, per uno dei più grandi pugili italiani di sempre.

In questo la boxe è come la scrittura: non si può fingere. Il ring parla, dicono i pugili. Perciò nel mio nuovo libro, Sotto quelle luci, ho fatto parlare loro.
Vi ho raccolto le interviste ai campioni d’Europa e del mondo che ho incontrato negli anni. Interviste realizzate esclusivamente di persona. Chi non ama la boxe può riconoscervi le storie di vita di uomini e donne che hanno vissuto appieno il loro tempo. Chi la ama, vi troverà inoltre tanti segreti di questo sport bello e complicato come pochi. C’è poi una tranche de vie con Simone Maludrottu, uno dei più grandi campioni d’Europa che l’Italia abbia avuto; e dalle pagine affiora la quotidianità di un pugile in attesa della rivincita, le sue fatiche, le sue paure, le difficoltà di un mondo povero e un entourage chiuso a pugno intorno al proprio campione, che però non riesce a non sentirsi un uomo solo contro tutti.
E ancora, c’è una lunga confessione di Vito Liverani, il più importante fotografo di boxe italiano, con una collezione di straordinarie fotografie da lui scattate a Duilio Loi; da aggiungere ai disegni di un giovane artista, Jacopo Ghislanzoni, che ha interpretato per Sotto quelle luci le suggestioni della nobile arte.
Non posso dire che a Fazi un libro del genere sarebbe piaciuto, ma senza dubbio è un libro che non ammicca, che non cerca il bello per il bello, ma parla nient’altro che della verità. La verità del ring come della vita. Perché a volte ciò che distingue le nostre vite e battaglie da quelle dei pugili è solo la mancanza dei riflettori, quelle luci del ring cui si riferiva Muhammad Ali quando ha pronunciato la frase citata in esergo e richiamata nel titolo.

 

Nella fotografia, Patrizio Oliva guarda di sguincio Juan Martín Coggi durante il loro match iridato del luglio 1987; a breve, il gancio sinistro dell’argentino metterà fine al suo regno nei superleggeri.